
18 Set COME ESSERE FELICI ED USCIRE INDENNI DALLE COMPLICAZIONI DELLA VITA
Diventando “grandi” ormai lo abbiamo capito: la felicità non è data da un perenne e permanente stato di gioia, piuttosto è la capacità di affrontare e superare le grandi e piccole difficoltà che la vita si diverte a seminare nel nostro cammino.
Se tutto va bene, ovvero se il nostro bagaglio di risorse personali è ben fornito, impariamo a fare tesoro di quello che le avversità ci insegnano, riuscendo con il tempo a lasciare andare i sentimenti negativi che finirebbero solo con l’appesantirci e imparando a portare con orgoglio le cicatrici delle nostre esperienze.
Se le difficoltà iniziano a fare capolino un po’ troppo presto nella vita e il nostro bagaglio di risorse non è adeguatamente attrezzato (cosa che comprensibilmente accade in tenera età) e se non siamo circondati da persone (genitori, adulti di riferimento) sufficientemente in grado di sopperire a questa carenza attraverso una buona guida e protezione, le cose potrebbero complicarsi un po’, e dare luogo a sofferenze che (se va bene) spesso arrivano alla mia attenzione (o a quella dei colleghi) in studio.
Quindi come si fa ad essere felici? Come si sopravvive alle cose brutte e faticose della vita?
Grazie ad una preziosa risorsa: la resilienza.
Si…lo so…in periodo di pandemia e lock down abbiamo sentito fino alla nausea parlare di resilienza, ma prometto di filosofeggiare poco e di andare sul concreto!
In psicologia, viene definita come la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà….ma io preferisco la definizione proposta dalla scienza dei materiali: capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
Urto: eventi traumatici (lutti, violenze, abusi fisici e psicologici, separazioni, incidenti,…) ma anche stress prolungati (dalle malattie croniche alle fatiche quotidiane che tutti attraversiamo: stress lavorativo, fatiche della gestione familiare e domestica,…)
Rottura: dato per assodato che le persone non si “rompono” (o almeno non per la lingua italiana) possiamo tradurlo con “sbroccare”, “sclerare”, “andare via di testa”, fino al tanto temuto “esaurimento nervoso” e tutte le accezioni più o meno gergali che hanno a che fare con la perdita della salute psicofisica.
Mi piace pensare alla resilienza come ad un serbatoio di risorse personali che a seconda del livello di riempimento ci permette di affrontare e superare la difficoltà del momento:
- serbatoio pieno: accusiamo il colpo, ci lecchiamo le ferite, ma attingendo alle nostre risorse restiamo in piedi, riusciamo ad attivare la giusta rete di aiuti e sostegno ed andiamo avanti;
- serbatoio mezzo vuoto o in riserva: la fatica si fa sentire di più, può arrivare la paura di non farcela, la persona può non percepire la presenza di una rete di supporto e può isolarsi, resta in piedi ma “zoppica”, con una serie di segnali fisici e fisiologici da parte del corpo che chiedono di essere ascoltati;
- serbatoio vuoto: la salute psicofisica della persona è a rischio e possono avere luogo diverse manifestazioni sintomatologiche ( dai disturbi cosiddetti “psicosomatici” quali gastriti, coliti, dermatiti, psoriasi, disturbi cardiovascolari, etc … a vere e proprie psicopatologie quali ansia, depressione, etc …)
Ma da dove arrivano quelle risorse che riempiono il serbatoio e chi permettono di fronteggiare questi “urti”?
La provenienza è duplice: una parte arriva dalla nostra infanzia, dalla qualità delle cure ricevute dai nostri genitori e da tutti gli adulti di riferimento che abbiano saputo amarci, proteggerci e guidarci durante i primi anni del nostro affacciarci alla vita.
Un’altra parte arriva dalla nostra capacità di amarci e volerci bene. E questa è la buona notizia!
Tutti noi abbiamo nelle nostre mani la possibilità di essere i protettori della nostra salute psicofisica facendo delle scelte che siano protettive per il nostro benessere nella vita di tutti i giorni.
Qualche esempio?
Chiedendoci se sia necessario stare tutti i giorni in ufficio fino alle 20.00 … e se qualche giorno è necessario teniamolo in considerazione non come una normalità, ma come una straordinarietà che va recuperata con qualche giornata più leggera.
Se la settimana (o il periodo) è impegnativa (sul fronte lavorativo, familiare, o su qualsiasi altro fronte che ci affatica) ricordiamoci di trascorrere un week end che sia veramente rigenerante, inserendo attività riposanti per noi: da un pomeriggio sul divano a leggere o divorare la serie tv preferita, ad una passeggiata nella natura, un paio d’ore della propria passione sportiva, un pomeriggio di shopping con l’amica, una cena con quegli amici che mi fanno tanto ridere, un week end fuori porta … o una semplice oretta col compagno a bere un aperitivo finché i santi nonni tengono la prole!
Questi sono esempi molto semplici riferiti alla cura di noi stessi e delle nostre risorse per gestire le fatiche della quotidianità, ma la capacità di amarsi e proteggersi risiede anche e soprattutto in scelte più grandi è importanti fatte proprio in nome dell’amore per se: porre fine ad una relazione o ad una amicizia che ci fanno soffrire, cambiare un lavoro in cui non ci sentiamo riconosciuti o in cui non vengono rispettati i limiti, allontanarsi da situazioni/contesti di qualsiasi natura all’interno dei quali non ci sia il giusto spazio per noi.
La ricetta della felicità non risiede quindi in un mondo utopico in cui non esiste fatica e sofferenza, ma nell’amore per noi stessi come pratica quotidiana.